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  • Amakusaplana acroporae I

    Amakusaplana acroporae I
    Un parassita meravigliosamente efficace


    Gli acquari di barriera sono normalmente popolati da molte specie di vermi piatti appartenenti ai phyla Aceli e Platelminti, che arrivano in vasca insieme alle rocce vive o vi vengono inseriti inavvertitamente in seguito, attaccati a talee o colonie di corallo.
    Alcuni di essi sono fondamentalmente innocui (Convolutriloba o planarie bianche), alcuni possono infastidire gli invertebrati sessili se presenti in numero cospicuo (Waminoa o planarie rosse), alcuni sono decisamente dannosi come il platelminta leopardo Myoramyxa pardalota che si ciba di molluschi, incluse le lumache e le nostre preziosissime Tridacne.
    Il platelminta più temuto e combattuto dagli acquariofili marini di tutto il mondo è però senza ombra di dubbio l’Amakusaplana acroporae o turbellaria delle acropore, un vero incubo per chiunque ci abbia o ci abbia avuto a che fare.
    L’A. acroporae è un parassita sfuggente, subdolo e perfettamente adattato alla propria nicchia ecologica; virtualmente impossibile da eradicare una volta insediato in acquario e resistente a predatori, agenti chimici, trattamenti meccanici.
    Recentissime ricerche seguite al suo rinvenimento in natura aprono però uno spiraglio di speranza e consentono di organizzare un’efficace strategia di lotta e di contenimento.
    Nel seguito dell’articolo cercheremo di approfondire la conoscenza del parassita, di come si nutre e di come si riproduce, in modo da evidenziarne i (pochi) punti deboli e sfruttarli per elaborare una strategia efficace per contrastarlo.



    Fig. 1 Schema tassonomico-evolutivo per Amakusaplana acroporae (AEFW è l’acronimo statunitense che sta per Acro-Eating FlatWorm)


    Identificazione e descrizione di Amakusaplana acroporae

    I vermi piatti che abitano i nostri acquari di barriera appartengono principalmente ai phyla Aceli e Platelminti, che comprendono diversi gruppi di animali fra cui i turbellari policladi, i tricladi, i trematodi, le planarie, gli schisostomi (mi si perdonino gli strafalcioni tassonomici, commessi consapevolmente a favore della semplicità di lettura).
    Alcuni si spostano a piacimento, altri sono parassiti più o meno mobili sia degli organismi sessili che dei pesci.
    A prima vista i turbellari policladi possono sembrare molto simili ad altri vermi come gli aceli (Waminoa e Convolutriloba sono comunissimi in acquario) o anche a piccoli nudibranchi, ma recenti analisi delle relazioni evolutive fra queste specie hanno rivelato che sono non così strettamente imparentati.




    Fig. 2 In alto una planaria bianca, al centro planarie rosse sul vetro di un refugium, in basso un platelminta delle tridacne


    I vermi policladi hanno dimensioni che variano dal microscopico fino a raggiungere i 10 centimetri e sono presenti a tutte le latitudini, in tutti gli oceani e a tutte le profondità, dalla linea costiera alle fosse oceaniche.
    La scienza tuttavia si è accorta dell’esistenza delle turbellarie delle acropore solo a causa della loro pessima fama nata e cresciuta in ambito acquariofilo, poiché non erano mai state individuate in natura fino al 2012.
    Attente analisi statistiche condotte basandosi soltanto sulle informazioni ottenute dagli acquariofili hobbisti (una volta tanto l’acquariofilia ha fornito un insostituibile aiuto alla scienza a favore degli oceani), hanno portato i ricercatori a stilare una classifica delle preferenze alimentari delle turbellarie delle acropore; esse infatti sembrano decisamente prediligere alcune specie di acropore rispetto ad altre e in particolare la classifica è risultata essere:

    1- A. valida
    2- A. pulchra
    3- A. millepora
    4- A. tortuosa
    5- A. nana
    6- A. tenuis
    7- A. formosa
    8- A. echinata
    9- A. yongei
    10- A. gemmifera


    In base a queste informazioni, la dottoressa Kate Rawlinson e la sua equipe di ricerca in situ guidata dalla dottoressa Jessica Stella (James Cook University, Queensland, Australia) ne hanno isolato alcuni esemplari su una colonia di A. valida nell’area di Lizard Island, sulla Grande Barriera Corallina.
    L’equipe di ricerca ha prelevato dieci colonie di A. valida dal reef e, con grande stupore, le turbellarie delle acropore erano presenti su ben 7 delle colonie esaminate, con una media tra i 2 e i 3 esemplari per colonia.
    I ricercatori immaginavano di avere davanti a sé settimane di ricerche infruttuose per cercare quello che sembrava un ago in un pagliaio, invece andarono a segno ben sette volte su dieci già con il primo campionamento.
    Questa osservazione è una pietra miliare che ci dà immediatamente due informazioni molto importanti, ovvero:

    A - le turbellarie sono estremamente comuni su alcune specie di acropora
    B – ove presenti, non lo sono in numero elevato

    Queste notizie sono fondamentali per comprendere quale sia la nicchia ecologica delle turbellarie e quali possano essere le interrelazioni con il resto della biocenosi marina in cui vivono, aprendo la strada alla possibilità di controllarle biologicamente.
    Se esse sono presenti sulla maggior parte delle colonie di una determinata specie e tale specie è comunque presente in abbondanza, ciò significa che in natura esiste un fattore di controllo molto potente.
    E’ evidente infatti a chiunque abbia mai dovuto fronteggiare un’infestazione di turbellarie quanto diversa sia la situazione in acquario, ove su una singola colonia anche di ridotte dimensioni possono trovarsi decine, se non addirittura centinaia di animali adulti e migliaia e migliaia di uova.
    Deve quindi esistere un potente fattore di controllo del loro numero, dato che si tratta di animali con un ritmo riproduttivo impressionante.
    Last but not least, averle individuate nelle immediate vicinanze di Lizard Island, che è una stazione di ricerca attrezzata e permanente, è un enorme vantaggio per studiarle comodamente nel loro ambiente naturale.



    Fig. 3 Una splendida colonia di Acropora valida, in piena salute dopo essere stata liberata dai parassiti




    Fig. 4 Una colonia di Acropora valida martoriata dalle turbellarie; la freccia indica l’ammasso di capsule ovariche pronte a schiudersi



    I vermi turbellari adulti predano un’ampia varietà di invertebrati marini, che include molluschi, ascidie, crostacei e cnidari.
    Alcune di queste specie rivestono importanza commerciale come le ostriche o i mitili, altre sono importanti per il commercio a scopo ornamentale come le Tridacne, le Acropore e alcune specie di Montipora.
    Mentre molte specie di turbellari sono predatori generalisti e si cibano di un’ampia gamma di prede, alcune sono predatori estremamente specializzati su pochi o addirittura un solo tipo di prede.
    Alcuni predatori fanno uso di neurotossine e tetrodotossine per paralizzare la vittime mobili, come i gasteropodi o i crostacei.

    L’Amakusaplana acroporae, che da qui in poi chiameremo semplicemente “turbellaria”, è invece totalmente specializzata su una singola preda, ovvero un ristretto numero di specie appartenenti al corallo duro del genere Acropora.




    Fig. 5
    Da sinistra a destra:
    A e B - fotografie ingrandite di esemplari di turbellaria (si notino le alghe simbionti usate per il mimetismo)
    C - principali apparati fisiologici
    D - in azzurro i canali digerenti



    La turbellaria possiede un apparato boccale estremamente specializzato, formato da una faringe tubolare che viene estroflessa dall’animale saldamente attaccato al tessuto corallino ed usata per succhiare via (probabilmente dopo averlo sciolto con l’aiuto dei succhi gastrici) porzioni circolari di tessuto.
    La faringe ha una struttura estremamente particolare, ovvero è a forma tubolare e possiede una fessura che si distende per tutta la sua lunghezza; l’unico altro animale noto con una faringe simile è il Prosthiostomum montiporae, che si nutre anch’esso del corallo duro Montipora verrucosa.
    Pare che la fessura sia utilizzata come una sorta di ancoraggio a ventosa e renda i parassiti capaci di nutrirsi ed aderire in modo saldo alle superfici rugose delle sclerattinie.



    Fig. 6 A sinistra la faringe tubolare, a destra all’interno del tessuto della turbellaria sono chiaramente riconoscibili le alghe simbionti strappate al corallo (Symbiodinium sp.) e le nematocisti ingoiate ancora cariche.




    Fig. 7 Morsi di turbellaria chiaramente visibili sul corallo


    Rimane invece un mistero come le turbellarie possano superare apparentemente senza problemi lo strato di muco protettivo e le nematocisti dei coralli.
    Ad un attento esame microscopico appare infatti evidente che le nematocisti vengono ingerite dalle turbellarie senza attivarsi; esse vengono digerite “ancora cariche”.
    Dopo l’ingestione il tessuto corallino viene distribuito lungo il canale digerente dell’animale, che si biforca più volte lungo tutto il corpo dell’animale, formando fitte ramificazioni terminali.
    Policlade infatti significa “dalle molte ramificazioni”.
    Il tessuto corallino è impregnato di zooxantelle, che si distribuiscono lungo il tratto digerente della turbellario e ne consentono la perfetta mimetizzazione, che è probabilmente la sua arma più potente contro i predatori (acquariofili inclusi).
    Appare evidente inoltre che la turbellaria delle acropore non si avvale di alcuna forma di simbiosi con le zooxantelle ingurgitate, si è dimostrato mediante marcatori radioattivi che queste ultime, sebbene continuino ad effettuare la fotosintesi anche mentre si trovano nel canale digerente, non trasferiscono alcun composto organico all’ospite temporaneo.
    Stessa sorte subiscono le nematocisti, che vengono espulse senza fornire alcun apporto né arrecare alcun danno, mentre in altri predatori esse vengono utilizzate come arma di difesa.



    Fig. 8 A sinistra (a – c) una turbellaria perfettamente mimetizzata su un ramo del corallo ospite alla luce naturale: a destra (b – d) La stessa foto agli ultravioletti


    Da queste osservazioni possiamo trarre altre due informazioni utilissime alla lotta contro le turbellarie in acquario:

    A – le turbellarie possono sopravvivere solo se si nutrono continuamente del tessuto corallino, muoiono infatti dopo 5-7 giorni senza contatti con il corallo ospite.
    B – le turbellarie non hanno difese chimiche contro potenziali predatori, ma confidano fondamentalmente solo sul loro perfetto sistema di mimetismo

    Ciclo riproduttivo

    Tutti i vermi policladi sono ermafroditi, ma non sono auto fecondanti (buona notizia).
    Le uova sono protette dai predatori e dall’ambiente circostante da capsule ovariche (pessima notizia), che contengono da tre a sette embrioni ciascuna e sono deposte in ammassi che contengono alcune decine fino ad alcune centinaia di capsule.
    Le capsule ovariche aderiscono allo scheletro corallino con un collante piuttosto potente e vengono deposte ai margini del tessuto, in modo che le larve appena schiuse possano raggiungere immediatamente il cibo.
    Il tempo che intercorre fra al deposizione delle capsule e la schiusa varia dai 5 ai 25 giorni a seconda delle condizioni ambientali, in particolar modo della temperatura.
    Ad una temperatura di 25°C le uova si schiudono in circa 21 giorni.



    Fig. 9 Uova di turbellaria deposte sullo scheletro nudo del corallo
    Le uova sono in realtà capsule contenenti diversi embrioni ciascuna



    Alcuni vermi policladi attraversano uno stadio larvale fra la schiusa e lo stadio adulto, altri invece nascono già adulti, le turbellarie delle acropore adottano entrambe le strategie per massimizzare le possibilità di sopravvivenza; le uova che schiudono in larve si staccano e si disperdono in cerca di un nuovo ospite, mentre quelle che nascono già adulte rimangono sulla colonia di origine.



    Fig. 10 Foto dei vari stadi di sviluppo dell’embrione di Amakusaplana acroporae



    Le larve appena schiuse si immergono immediatamente nei meandri dello scheletro corallino poroso in modo da trovare protezione dai potenziali predatori e solo più raramente si staccano dall’animale.
    E’ quindi errato pensare che una colonia corallina infestata non costituisca pericolo per quelle circostanti; ciò accade piuttosto raramente, ma è lecito supporre che i parassiti si disperdano in acquario, soprattutto se presenti in gran numero, per ricercare attivamente nuove fonti alimentari.
    Gli individui adulti possono raggiungere e superare i 2 centimetri di lunghezza e durante la loro vita possono produrre una progenie di mille ed oltre esemplari.
    Gli individui adulti in natura trascorrono tutta la propria esistenza sulla colonia corallina nella quale sono nati e non nuotano né si staccano da essa lasciandosi trasportare dalla corrente.
    Di giorno si riparano nella parte inferiore e ombreggiata dei rami delle acropore, di notte probabilmente si spostano, ma non è ancora stato osservato direttamente.
    Non si conosce esattamente il tempo di maturazione sessuale, ma sono stati osservati esemplari di 4 millimetri di lunghezza con entrambi gli apparati riproduttivi maschile e femminile perfettamente sviluppati.


    Conclusioni

    Amakusaplana acroporae è un avversario temibile, perfettamente adattato alla sua fonte di cibo e in grado di sfuggire a quasi tutti i predatori mentre rimane attaccato al proprio corallo.
    Non si conoscono al momento forme di contrasto biologico in cattività, anche se le osservazioni sperimentali suggeriscono che esistano potenti fattori di controllo in natura.
    E’ quindi attualmente impossibile disporre di un metodo per eradicarlo in modo definitivo dall’acquario, ma le informazioni contenute nel presente articolo offrono la possibilità di organizzare efficaci strategie di difesa e di salvare le nostre preziosissime acropore a lungo termine.

    Dopo l’identificazione del parassita in natura, si è stabilito che esso può costituire una serissima minaccia per le biocenosi coralline in occasione di stati di stress delle acropore dovuti, ad esempio, all’innalzamento della temperatura dell’acqua o all’inquinamento.
    In conseguenza di questa potenziale minaccia, si stanno moltiplicando le ricerche mirate a trovare un rimedio efficace, poco invasivo e risolutivo.
    I ricercatori sono molto fiduciosi e i fondi per la ricerca finalizzata a questo scopo sono in aumento… incrociamo le dita!

    Le armi più potenti a nostra disposizione rimangono la quarantena e l’identificazione precoce della presenza del parassita, tuttavia nella seconda parte dell’articolo proporremo una strategia di lotta integrata alle turbellarie delle acropore che ha già dato esito molto positivo in casi di infestazioni localizzate e che ha avuto risultati più che discreti in casi di infestazioni estese e prolungate nel tempo.


    STAY TUNED!