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  • L'Allelopatia

    Il termine deriva dal greco allolon ˗“di ogni altro”˗ e da pathos ˗“soffrire”˗ e si può tradurre come “effetto nocivo di uno su un altro”.
    Già nel 300 a.C. troviamo i primi cenni riguardanti allelopatia e fitotossicità in Historia plantanum e De plantarum causis, scritti da Teofrasto, filosofo e botanico greco. Anche Democrito e Plinio il Vecchio riferiscono di interazioni allelopatiche, per esempio riguardo come l’orzo inaridisse il grano. Anche in Cina, nel I secolo d.C. troviamo trattati che elencano piante con effetti pesticidi.

    Il termine allelopatia fu usato per la prima volta nel 1937 dal professore austriaco Hans Molisch nel libro Der Einfluss einer Pflanze auf die andere – Allelopathie, definendolo come “l’azione positiva o negativa di una specie vegetale sulla germinazione, la crescita e lo sviluppo di altre specie vegetali”.
    Nel 1984 Elroyn Leon Rice allargò la definizione di allelopatia includendo tutti gli effetti, positivi o negativi, effettuati da sostanze prodotte da piante con effetti su altre piante o microorganismi tramite la loro liberazione nell’ambiente circostante.

    In genere gli effetti allelopatici provocano una ridotta germinazione, uno sviluppo stentato e una riduzione dell’accrescimento delle plantule e dell’apparato radicale, un minore assorbimento di elementi nutritivi e un rallentamento dell’attività enzimatica e fotosintetica (Kobayashi, 2004).

    L’allelopatia non era universalmente accettata dagli ecologi, in quanto molti asserivano che non può essere divisa dalla competizione. Propriamente il primo termine indica un rilascio di sostanze nell’ambiente, mentre il secondo termine si riferisce a una sottrazione dei nutrienti e dello spazio vitale. Probabilmente l’uso del termine “interferenza” (considerata come somma tra allelopatia e competizione) è più corretto per definire l’insieme di questi effetti, spesso difficilmente distinguibili dal punto di vista macroscopico.
    Infatti, molto spesso l’azione finale di inibizione non è esercitata da un solo composto, ma dall’azione sinergica di più composti che, lavorando insieme, aumentano notevolmente il loro effetto tossico.

    Gli allelopatici sono un prodotto tipico degli organismi che non hanno motilità e il maggiore effetto che producono è l’inibizione della crescita su altri organismi. La loro difesa, infatti, è principalmente chimica, non potendo essi contare su gambe o denti, diversamente dagli animali.
    Molte di queste sostanze derivano da amminoacidi e vengono prodotti dalle piante investendo una quantità notevole di energia. La maggior parte di queste sostanze sono acidi fenolici, flavonoidi, tannini e stilbeni.

    Molti allelopatici sono solubili in acqua e influenzano svariati organismi, come: alghe, cianobatteri, afidi, funghi, batteri, protozoi e, naturalmente, altre piante.
    Gli allelopatici hanno la funzione primaria di proteggere le piante dagli organismi erbivori, dalle malattie e di assicurare loro lo spazio vitale senza essere sommerse da altre specie vegetali.
    Sono stati riscontrati anche casi di auto-inibizione. Questo meccanismo può aiutare le piante a regolare la loro stessa densità di popolazione.

    Gli allelochimici emessi dalle alghe, a differenza di quelli delle piante, possono in alcuni casi essere estremamente tossici. Sono stati trovati, infatti, agenti chimici con effetti neurotossici liberati in vasca dopo “raschiatura”, e conseguente morte, di patine algali.

    Ho voluto condurre un piccolo esperimento a riguardo, giusto per avere dei dati riscontrabili e non solo riportati. Sono andato a testare l’inibizione della crescita su Pistia stratiotes e Lemna minor da parte del Ceratophyllum demersum inserendo in vasche colme di quest’ultimo (stessa massa vegetale) le prime due:


    Materiale:

    4 vaschette da 30 litri
    Lemna minor
    Pistia stratiotes
    Ceratophyllum demersum


    Svolgimento:

    Tutte le vasche avevano la stessa esposizione solare, i medesimi valori dell’acqua che ho cercato di mantenere costanti, fertilizzante incluso, NO3, PO4 ecc., andando a integrarli dove mancanti. Sono state allestite lo stesso giorno in questo modo:

    Vasca#1: solo Pistia (1 pianta)
    Vasca #2: solo Lemna (1 pianta)
    Vasca#3: Pistia (1 pianta) +Ceratophyllum (pieno)
    Vasca#4: Lemna (1 pianta) +Ceratophyllum (pieno)

    Ho utilizzato le vasche #1 e #2 come controllo di crescita, per avere un parametro e confrontarlo con la crescita in accoppiata. Ho optato per queste tre specie per la facilità di reperirle, dato che le avevo in casa, e per confrontare i dati con quelli riportati sul libro Ecology of the planted aquarium.


    Risultati a distanza di due settimane e sei settimane:

    Dopo due settimane:
    Lemna--> -5%
    Pistia--> -15%

    Dopo sei settimane:
    Lemna--> -10%
    Pistia--> -70%

    Dati riportati nel libro Ecology of the planted aquarium:
    Lemna--> -30%
    Pistia--> -60%

    Ho trovato l’argomento molto interessante, soprattutto perché raramente se ne parla e perché, talvolta, può spiegare alcuni fenomeni che rendano l’acquariofilia meno aleatoria e più scientifica. Frasi come “In questa vasca proprio non riesco a far crescere questa pianta” per me ora prenderanno un significato diverso.
    Negli ambienti naturali questo fenomeno può produrre effetti molto importanti, come la colonizzazione di intere aree da parte di piante galleggianti. In acquario però il fenomeno è sicuramente più limitato grazie ai cambi dell’acqua e all’aggiunta di sostanze come il carbone attivo che rimuovono la maggior parte degli allelopatici.
    Credo che, in gestioni meno “spinte” e con cambi d’acqua meno frequenti, si possa godere anche di questi fenomeni che aiutano a controllare la proliferazione algale e di microorganismi che possono provocare malattie nei pesci.